1 marzo 2023
70 anni di dati relativi ad attacchi a persone da parte di grandi carnivori in tutto il mondo. 5000 casi registrati tra il 1950 e il 2019 e 12 specie coinvolte: l’ultima ricerca del MUSE, condotta assieme ad altri enti di ricerca internazionali, è un unicum a livello mondiale.
Il lavoro, pubblicato recentemente su PLOS Biology, è frutto di oltre quattro anni di lavoro e va a chiudere un percorso di dottorato di ricerca. Lo studio si concentra sulle interazioni che hanno portato al ferimento o alla morte della persona coinvolta, da parte delle specie di grandi carnivori terrestri maggiormente coinvolte in questo tipo di conflitti – tra cui tigri, leoni, orsi e lupi.
Come sono state raccolte le segnalazioni di attacchi alle persone?
«Con grande sforzo e tanta pazienza. Abbiamo ricavato i dati da tutte le fonti a disposizione, tra cui pubblicazioni scientifiche, relazioni tecniche, database inediti curati da esperti e istituzioni, che sono stati contattati e coinvolti nella ricerca».
Nello studio si parla di attacchi mortali alle persone da parte di grandi predatori come eventi molto rari. È proprio così?
«In generale, gli attacchi alle persone sono estremamente rari e solo nel 32% letali. Gran parte degli attacchi mortali è stata registrata nei Paesi cosiddetti “a basso reddito” dove vivono grossi felini, come leoni e tigri, le specie maggiormente coinvolte in attacchi in cui l’uomo è presumibilmente visto come una preda. Anche il lupo in alcuni contesti specifici si è reso protagonista attacchi predatori, i più letali tra tutte le tipologie.
Si tratta di contesti particolari, sia dal punto di vista ambientale che umano. Non esiste una specie più pericolosa di un’altra in termini assoluti, la questione è piuttosto complessa e la stessa specie, in contesti differenti, interagisce in maniera diversa con le persone».
A livello locale, quali dati sono stati rilevati e cosa ci comunicano?
«In Trentino, fino al 2023, sono avvenuti 5 casi di attacco con ferimento da parte di orsi bruni a persone: dati in linea con quanto riscontrato per la specie a livello globale. Lo scenario più comune (4 casi su 5) è quello di reazioni difensive da parte di femmine con i piccoli. Situazioni spiacevoli che potrebbero essere limitate con un’operazione di educazione e informazione delle persone».
Chiara VeronesiRelazioni istituzionali e ufficio stampa
|