Un pezzo di pane che ha fatto la storia
Il pane di Ledro dalla preistoria alla nostra tavola
Il pane di Ledro dalla preistoria alla nostra tavola
18 novembre 2024
Uno straordinario archivio di dati: le palafitte di Ledro sono state proclamate Patrimonio dell’Umanità UNESCO – anche – per i risultati degli studi degli strati archeologici e dei reperti che hanno permesso la ricostruzione della cultura materiale delle comunità alpine che lì vivevano. 4500 anni, tra Neolitico ed età del Ferro, durante i quali le popolazioni hanno utilizzato questo “modo di abitare” sospeso sull’acqua, contestualmente alla natura e all’ambiente che circondava ogni villaggio.
Gli ambienti lacustri e torbosi hanno permesso di fare arrivare fino a noi un repertorio di oggetti prodigioso, per materiale, varietà, qualità e quantità e stato di conservazione.
Tra pugnali in bronzo decorati, diademi, punte di freccia dalla finissima fattura, vasi decorati di dimensioni e forme variabilissimi, resti di ossa di animali allevati, tessuti, i pali stessi che si possono ancora oggi vedere spuntare dal lago, negli anni ’60 è stato scovato un reperto “quotidiano” straordinario: un pezzo di pane.
Continua…
Dal 1972, il pane è esposto in museo, ma non è mai stato studiato fino a quando Marta Villa, docente di Antropologia culturale dell’Università di Trento ha risvegliato l’interesse per questo reperto. Assieme alla Associazione Panificatori della Provincia Autonoma di Trento e alla Camera di Commercio di Trento sono stati realizzati quattro docufilm, con l’intento di ottenere nuove informazioni utili alla riproduzione della ricetta con la scuola di Arte Bianca e Pasticceria di Rovereto e i panificatori associati.
Nel 2022 nasce quindi il progetto “Pane delle Palafitte”, terminato recentemente con la registrazione di un disciplinare per la realizzazione del pane da parte dell’Associazione Panificatori della Provincia Autonoma di Trento che rende possibile assaggiare questo alimento, riprodotto in “chiave moderna”.
Le indagini del paleobotanico Mauro Rottoli, svolte in collaborazione con Fabio Santaniello e Annaluisa Pedrotti, sono state condotte utilizzando la strumentazione del Laboratorio Bagolini Archeologia, Archeometria, Fotografia del Centro Alti Studi Umanistici – Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento.
Sostanzialmente, il pane è stato osservato con diversi microscopi, quindi a diversi livelli di ingrandimento. Oggi, possiamo dire che è un pane composto da farro (Triticum dicoccum) e farricello (Triticum monococcum), un aggregato di piccoli semi poco o per nulla macinati, impastati con farina e altri ingredienti per comporre una particolare forma a mezzaluna.
È dunque un pane integrale, senza lievito e a basso indice glicemico, con chicchi che ci appaiono in parte tostati in parte carbonizzati e alcune tracce di spiga (glume).
No, l’ipotesi più probabile è che il pane, una volta impastato ma non cotto, si sia bruciato per un evento accidentale (incendio); la combustione si sarebbe arrestata ad un certo punto, forse perché il pane è caduto nell’acqua.
In diverse parti del mondo, i pani vengono cotti proprio appiccicando l’impasto molle sopra o intorno ad un ciottolo arroventato.
Ma, mentre non possiamo escludere che si facesse così anche sulle sponde del Lago di Ledro, siamo certi nel dire che quello che vediamo oggi è un ciottolo attaccato (con la colla!) in passato per motivi museografici.
Un modo per mettere in mostra un oggetto che ha incuriosito decine di migliaia di studentesse/i, persone curiose, archeologhe, archeologi e – da oggi – anche persone appassionate di panificazione.
Alessandro FedrigottiStaff del Museo delle Palafitte del Lago di Ledro |