21 ottobre 2024
Invitato come MUSE a contribuire al XII Salone della CSR – Corporate Social Responsibility, assieme a colleghe e colleghi del sistema museale italiano e dell’imprenditoria culturale, il direttore sostituto dell’Ufficio ricerca e collezioni del MUSE Massimo Bernardi ha proposto una riflessione sul dibattuto tema del digitale nei musei. Qui ci riassume il suo intervento e pensiero.
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La responsabilità sociale, verso cui una parte sempre più importante del mondo “for profit” si sta orientando è – potremmo dire – connaturata all’agire di un museo, in particolare di un museo pubblico: esistiamo per e siamo espressione della società, specchi e laboratori dello stare al mondo.
L’essere “nativi della CSR”, tuttavia, non garantisce che i musei siano anche espliciti e coerenti interpreti del proprio ruolo, tanto che già a metà del secolo scorso Albert Eide Parr, direttore dell’America Museum of Natural History, esortava la comunità museale a porre fine alla “vaghezza opportunistica delle intenzioni”; un richiamo che l’accresciuta attenzione sociale ai temi dell’inclusione e dell’accessibilità, alla dimensione economica e ai modelli di management rendono oggi imperativo.
Ma come sviluppare un museo che sia al contempo rilevante rispetto al dibattito pubblico e un riferimento oggettivo rispetto al crescente disorientamento sociale?
La trasformazione digitale, rapida e pervasiva, sta contribuendo a rendere l’offerta museale più interattiva, dinamica e democratica.
Rappresenta inoltre un’occasione irripetibile per ripensare i musei partendo dalle loro fondamenta, universalizzando l’accesso alle collezioni che i musei detengono in quanto depositari di patrimonio pubblico. È questo il digitale dell’accezione più recente del termine, quello contrapposto alla dimensione analogica: il digitale del web e quello abilitato dagli hardware hi-tech. Un digitale che le nostre istituzioni stanno convintamente integrando nell’agire quotidiano (qui la sezione del MUSE dedicata alle collezioni digitalizzate).
Esiste tuttavia un altro digitale, etimologicamente ancestrale, per gran parte ancora inespresso.
È quello del digit, della cifra, della quantificazione che rende discreto ciò che è continuo, quello della valorizzazione dei numeri in dati.
La rivoluzione digitale che ha trasformato il management nell’industria, nel marketing o nella logistica a cavallo tra il XX e il XXI secolo, non si è infatti compiuta negli istituti di cultura pubblici e, segnatamente, si è fermata sull’uscio della maggioranza dei musei italiani.
Una programmazione culturale strategica moderna necessita, invece, di dati, indicatori e analisi oggi potenzialmente reperibili in quantità e qualità senza pari. Dati fondamentali per sostanziare una rivoluzione digitale su cui si gioca la rilevanza sociale dei musei.
I visitor studies quantitativi, ad esempio, rappresentano una leva evolutiva potentissima per i musei; diffusisi con alcuni decenni di ritardo nel nostro paese rispetto ad altre nazioni europee, sono oggi ancora drammaticamente rari e spesso sterili, poiché non pienamente connessi alle politiche di gestione.
Si tratta di strumenti complessi, la cui applicazione è tutt’altro che immediata ma che – laddove non limitati alla mera somministrazione di questionari di gradimento – consentono di ripensare daccapo i musei, concependoli come laboratori, in cui percezione, valutazione, comportamento del pubblico e del non-pubblico diventano dati utili ad indirizzare, guidare, sostenere la programmazione culturale ad ogni livello.
Ciò, ovviamente, non significa sognare un’informazione in grado di disvelare il miraggio della gestione perfetta né, tantomeno, auspicare che i musei siano agiti primariamente dagli utenti; significa piuttosto sostenere il valore di un data driven management che ci consenta di offrire un servizio museale sempre più efficace, gratificante e in sintonia con i bisogni della società.
Una digitalizzazione da riscoprire che, accanto a quella in atto, può consentire ai musei di essere riconosciuti quali leve strategiche per costruire un nuovo Antropocene (qui il progetto del MUSE legato al tema).
Articolo di
Massimo BernardiDirettore sostituto Ufficio Ricerca e Collezioni museali |