"Noi e loro"
Antiche storie di coesistenze
Antiche storie di coesistenze
23 settembre 2024
Siamo state/i prede e commensali, abbiamo predato, venerato e addomesticato. Fin dall’inizio dell’umanità, intesa come genere Homo, le nostre antenate e i nostri antenati hanno convissuto con gli animali selvatici, in un rapporto che nel corso dei millenni ha assunto connotazioni molto diverse. Una storia che ci accompagna dagli albori, che ha condizionato le dinamiche sociali e influenzato la percezione che oggi abbiamo nei confronti degli animali più iconici con i quali condividiamo il territorio.
Alcune tra le più antiche prove di caccia diretta con gli animali selvatici risalgono a quasi 300.000 anni fa: sono lance in legno, antichissime armi da caccia ritrovate nel sito archeologico di Schöningen, in Germania, a testimonianza che già allora, forme umane pre-neandertaliane, cacciavano e si difendevano con tecnologie sofisticate e specifiche abilità cognitive.
“La capacità di acquisire conoscenze ecologiche ed etologiche ha permesso all’umanità di avere un enorme successo nella caccia e nell’utilizzo del territorio” spiega Nicola Nannini, archeozoologo e ricercatore del MUSE. “L’osservazione, l’attenzione ai dettagli e lo studio della natura è ciò che ci ha permesso fin da subito di occupare un posto privilegiato all’interno della rete ecologica di cui eravamo parte”.
Ma come si studia il rapporto che l’essere umano ha avuto con la fauna e con l’ambiente migliaia di anni fa?
“L’archeozoologia prova a indagarlo attraverso lo studio delle ossa animali trovate nei siti archeologici” racconta Nannini. “Tra gli animali più lungamente studiati della preistoria ci sono gli ursidi, orsi di varie specie, diffusi in diverse parti dell’Eurasia”.
È quindi una delle specie più iconiche, discusse e ultimamente temute ad essere ironicamente una delle prescelte per studiare e comprendere la nascita e lo sviluppo della coesistenza tra esseri umani e animali selvatici.
Continua…
“Il rapporto con gli orsi” continua Nannini “è sempre stato quasi esclusivamente unidirezionale. Il genere Homo fin dalla sua origine ha attivamente ricercato la presenza del platintigrado: lo cercava per cacciarlo e nutrirsene, per coprirsi con la sua pelliccia. Ma non solo, con il passare del tempo l’orso ha assunto anche altri significati, aldilà di esigenze alimentari o utilitaristiche, toccando sfere più simboliche ed era probabilmente venerato come simbolo di forza e grande resistenza”.
In Italia, Homo sapiens, la nostra specie, inizia a convivere con l’orso circa 43.000 anni fa, quando si affaccia a quella che oggi consideriamo la nostra penisola. Orsi delle caverne e orsi bruni erano già lì e numerose ossa ritrovate e studiate in diversi siti possono raccontare questa storia.
Tra questi siti, Riparo Cornafessa nel Comune di Ala (TN) oggi è indagato dallo staff di ricerca del MUSE, Sezione Ambiente e Paesaggio che conta, oltre a Nicola Nannini, anche Alex Fontana, Rossella Duches e Noemi Dipino.
Ogni estate, il Riparo Cornafessa ritorna a essere sede di scavi, ricerche e approfondimenti da parte dello staff del MUSE e al contempo teatro di incontri, visite guidate e conferenze aperte al pubblico che, grazie a queste restituzioni, può scoprire i risultati dell’ultima campagna di scavo archeologico e le novità più interessanti delle analisi sui materiali archeologici.
Proprio a Riparo Cornafessa, tra i numerosi reperti rinvenuti, sono state identificate ossa di orso bruno riportanti chiari segni di macellazione atti a staccare le pellicce, le carni e rimuovere gli organi interni. “Osservati al microscopio” spiega Nannini “questi preziosissimi resti ci mostrano delle istantanee di 12.000 anni fa, segni sulle ossa lasciati involontariamente dai coltelli di selce, ma inconfondibili per identificare la natura umana”.
A questo punto, viene spontaneo interrogarsi sul significato della parola “coesistenza”. Declinato alla nostra società moderna è un concetto estremamente complesso che tiene conto della sopravvivenza della fauna e del benessere delle popolazioni umane.
Oggi viviamo in un mondo in cui gli ambienti naturali soccombono sotto la pressione antropica dove gli spazi di confine tra “noi e loro” sono sempre più ridotti, spesso inesistenti.
Trovare un equilibrio allo stato attuale è un’impresa titanica e gli scontri che abbiamo con la fauna non sono più legati alla sussistenza, ma dettati da fattori sociali e culturali estremamente complessi e radicati. Per le/i nostre/i antenate/i l’equilibrio era probabilmente dato dall’esiguo numero di esseri umani presenti e dalla grande abbondanza di tutte le altre specie.
In epoche successive, l’immagine romantica dei cacciatori preistorici immersi nei cicli naturali sfuma in conseguenza all’introduzione di allevamento e dell’agricoltura. Si creano le basi della proprietà privata, concetto che piano piano si estenderà anche al bosco e a tutto ciò che era da sempre considerato “selvatico”.
Forse è qui che nasce l’idea di “noi e loro”, ammirazione e odio in un rapporto che ci ha accompagnato per secoli e che, a quanto pare, ci accompagnerà ancora per molto tempo.
Elisabetta FilosiUfficio programmi per il pubblico
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Nicola NanniniArchezoologo MUSE
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