The Mountain Touch. Intervista a Michael Fliri e Marzia Migliora
Un artista e una artista raccontano le loro opere
Un artista e una artista raccontano le loro opere
5 settembre 2024
Nella mostra The Mountain Touch (al MUSE fino al 17 novembre 2024), la scintilla di un’ispirazione immateriale trasforma fisicamente in opera d’arte il senso del profondo legame con l’organismo natura, nel quale siamo immersi.
Attraverso video, installazioni sonore, interventi site specific, fotografia, opere su carta, la materia naturale viene reinterpretata dalla creatività contemporanea.
Abbiamo chiesto ad alcune delle artiste e degli artisti che hanno contribuito a creare il percorso espositivo, di parlarci della loro esperienza dello “stare” in montagna e di quella dello “stare” in natura.
I primi a raccontarsi sono l’altoatesino Michael Fliri, che reinterpreta in prima persona i profili montani innevati e Marzia Migliora, con un’opera che parte dal Monte Baldo e dai Monti Lessini.
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Le fotografie della serie performativa My private fog, realizzata dall’artista altoatesino Michael Fliri, si ispirano al concetto di osmosi uomo-natura e al rapporto ritratto –paesaggio nell’arte. I ricercatori Francesco Meneguzzo e Federica Zabini (Istituto per la Bioeconomia, CNR), che hanno collaborato al progetto espositivo, hanno evidenziato che l’opera trasfonde il volto umano dell’artista fino a delineare profili montani innevati o ghiacciai, sottolineando l’interazione biologica tra essere umano e natura. “Le immagini, che richiamano alla mente le ricerche condotte dal fisiologo Angelo Mosso a fine Ottocento sull’azione dell’aria di montagna sul corpo umano, rendono manifesto il costante processo di scambio con l’ambiente extra corporeo al quale ogni essere umano è sottoposto”.
Un fenomeno fisico e biologico che l’artista definisce così:
Nell’opera La rivoluzione del tempo profondo (Paradossi dell’abbondanza #61) – realizzata in dialogo con il paleobiolgo Massimo Bernardi del MUSE – l’artista piemontese Marzia Migliora racconta il ciclo perenne della materia, che inizia dalle rocce del Monte Baldo e dei Monti Lessini, le cui sostanze sono stoccate negli acini d’uva per diventare parte nel vino che beviamo e che quindi ritornano agli esseri umani. Ciò che vediamo nella sua opera è un paesaggio stratificato in perenne movimento analogo a un sistema vivente in continua evoluzione. L’opera è costituita da un trittico di disegni e collage su listelli di carta sovrapposti, in cui si sovrappongono fra loro linee che ricordano a un tempo il sistema circolatorio e i vasi capillari e a un tempo il sistema di rizomi e radici che attraversano il suolo di un bosco. “Le foreste e i fiumi e le montagne erano presenti da prima degli animali. Siamo noi, esseri viventi ad assomigliare a una foresta, non viceversa”.
Ce lo spiega qui l’artista:
Adele GerardiUfficio Comunicazione MUSE
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